Implicazioni cliniche dell’aborto spontaneo

Quando si piange un bambino mai nato

Ogni lutto è di per sé un evento estremamente significativo e ad alto impatto emotivo: da quel momento in poi ci sarà un “prima” e un “dopo”. L’esperienza di perdere un figlio, però, segna in modo radicale la percezione della realtà. Niente è più lo stesso. In questo senso, tale accadimento può comportare ciò che viene chiamato “lutto complicato” o patologico, espressione che indica una serie di sintomi, quali calo dell’umore, ansia, anedonia, rabbia, isolamento, che vanno ad inficiare il benessere psicofisico di chi li esperisce.

Oggigiorno, però, la perdita di un figlio quando ancora non lo si è visto nascere viene ancora sminuita e non riconosciuta come tale. Conseguentemente, i vissuti e la sofferenza di chi fa fronte ad un aborto spontaneo, vengono spesso banalizzati e svalutati, facendo sentire senza sostegno e soli proprio in un momento in cui non si dovrebbe esserlo.

L’espressione aborto spontaneo indica un’interruzione spontanea della gravidanza entro la ventiduesima settimana di gestazione, cioè durante i primi cinque mesi, ossia prima che il feto possa ipoteticamente essere in grado di sopravvivere autonomamente in caso di parto.

Il fenomeno, nonostante se ne parli ancora poco, soprattutto per quanto concerne le implicazioni cliniche e i vissuti emotivi postumi, è estremamente diffuso e tutt’altro che caso raro. Secondo un recente studio (Quenby et al., 2021), ogni anno nel mondo si verificherebbero circa 23 milioni di aborti spontanei, 44 al minuto. In percentuale, il rischio totale di aborti spontanei rappresenta il 15,3% delle gravidanze note, il ché vuol dire che nella statistica non vengono incluse le perdite che si verificano prima che la gravidanza sia clinicamente riconosciuta o nota alla donna.

Nonostante ciò, il numero di aborti spontanei ricorrenti è molto basso: solo l’1,9% delle donne ne ha avuti due e lo 0,7% tre o più.

I principali fattori di rischio per aborti spontanei sono l’età della madre (se sotto i 20 anni o sopra i 35 anni), l’età del padre (se sopra i 40 anni), l’indice di massa corporea (se troppo basso o troppo alto), fumo, alcol, stress, lavorare su turni notturni, l’inquinamento dell’aria e l’esposizione a pesticidi.

Per quanto riguarda l’età materna, il rischio di aborto spontaneo si stima intorno al 12% per età compresa tra i 20 e i 29 anni e aumenta rapidamente dopo i 35 anni, fino a raggiungere il 65% per età superiori ai 45 anni.

Le conseguenze che un tale evento porta con sé sono sia fisiche, come sanguinamento o rischi di infezioni, sia psicologiche. Un aborto spontaneo può, infatti, portare con sé sentimenti d’ansia e depressione, che possono finanche sfociare in un Disturbo Post-Traumatico da Stress. Sintomi legati a tale diagnosi si riscontrano in quasi un terzo delle donne dopo un mese dall’aborto e in circa il 20% a distanza di 9 mesi, con la persistenza di stati depressivi e ansiosi (Kersting & Wagner, 2012).

L’impatto emotivo, in alcuni casi, può essere avvertito subito dopo l’evento, mentre in altri può richiedere anche diverse settimane. In molti, per quanto possa essere difficile da accettare e legittimare in quanto tale, sentono di vivere un vero e proprio periodo di lutto, nel quale è comune sperimentare sentimenti di stanchezza, perdita di appetito, difficoltà a dormire, disfunzioni sessuali, irritabilità, apatia e talvolta anche pensieri di suicidio.

Sentimenti altrettanto comuni, che riguardano principalmente le donne, il cui corpo è direttamente coinvolto nell’evento, sono la colpa, lo shock, la tristezza e anche la rabbia verso altri le cui gravidanze sono state di successo. Complici i repentini cambiamenti ormonali che affronta il corpo della donna, i vissuti e le sensazioni emotive sono percepite in modo più ampio e totalizzante. Frequenti sono così anche improvvise crisi di pianto e sbalzi d’umore. apparentemente immotivati e incomprensibili.

Come per molti altri eventi, ogni tipo di reazione e sentimento è lecito e vero in quanto tale. Non esiste un modo corretto o giusto di sentirsi, ma solo quello in cui ci si sente. C’è chi riesce a superare il dolore dopo poche settimane, iniziando magari anche a pianificare una nuova gravidanza, chi invece vive anche solo questo pensiero come troppo doloso e necessita di più tempo. C’è chi riesce a parlarne e affrontare il dolore fin da subito, chi invece sente bisogno di un iniziale periodo di raccoglimento interiore e dialogo con se stessi prima di poter tramutare in parole condivisibili quanto provato.

Non è raro provare sentimenti di vergogna e fallimento, ci si sente incapaci e non adatti a generare una vita. Fin da subito il corpo della donna cambia, portando ad identificarsi presto in un ruolo genitoriale, che viene accolto e va ad arricchire il proprio sé identitario. La nuova vita che cresce in grembo inizia ad esistere e prendere forma concreta nella mente e nelle fantasie della nuova coppia genitoriale, che inizia a volerle bene come fosse già nata e presente concretamente nella loro quotidianità. È questo il contesto, la cornice di senso in cui un evento inaspettato e non prevedibile come quello dell’aborto spontaneo in un attimo distrugge e annichilisce, portando via con sé anche una parte dell’identità di chi si trova ad affrontarlo. Soprattutto se non si hanno altri figli, si passa dal viversi e immaginarsi come genitori al non poter più essere tali.

Inoltre, il fatto che questo tipo di evento sia poco considerato e riconosciuto a livello sociale come una vera e propria perdita, rende l’elaborazione dello stesso ancora più faticosa. Se già il senso di fallimento e inadeguatezza provati tendono a far sì che la persona si isoli in sé stessa, il fatto che spesso ci si imbatta in chi sminuisce  quanto sentito, non fa che peggiorare questo malessere, senza essere di alcun tipo di conforto. Non sono rare frasi che invitano a “riprovarci subito”, perché “la prossima volta andrà bene”. Per quanto a livello fisico non sembrino esserci effettive controindicazioni in merito all’iniziare una nuova gravidanza dopo un aborto spontaneo (Schliep et al., 2016), frasi di questo tipo implicano che possa essere pensabile sostituire il bambino perso con un altro, come se nulla fosse, facendo sentire così un genitore, che invece piange la perdita proprio di quel figlio, come incompreso e solo al mondo nel proprio dolore.

Uno degli aspetti che più dilania chi si trova catapultato in questa esperienza di perdita è il non sapere, il non poter trovare una motivazione a quanto accaduto, il non averla potuta prevedere e l’aver potuto fare niente per prevenirla. Il dolore porta così ad una trafila infinita di pensieri, una ruminazione continua nel tentativo di elaborare le emozioni e i ricordi connessi all’aborto subito. Per quanto alcuni studi evidenzino come la ruminazione possa portare al superamento del dolore in seguito all’evento (Freedle et al., 2021), alcune donne, in particolar modo, possono arrivare ad esperire una ruminazione intrusiva, analoga a quella del Disturbo Post-Traumatico da Stress così come descritto nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), come a voler riempire quel vuoto incolmabile che sentono dentro di loro. Nella speranza di sfuggire a quel dolore sordo, un baratro che sembra senza fine, cercano in tutti i modi una spiegazione, un perché, e finiscono spesso con il dare la colpa a se stesse per non essere riuscite a proteggere la creatura, in uno sconforto continuo che non fa che alimentare ulteriori stati ansiosi e depressivi, in un circolo vizioso che pare inarrestabile.

Per quanto il dolore della donna sia più incarnato, poiché riguarda anche il suo corpo, che mantiene il ricordo del trauma subito, anche l’uomo ha il suo dolore in seguito ad un aborto spontaneo, per quanto ci sia la tendenza a pensare il contrario. Se già il dolore della donna viene a fatica accettato e legittimato, quello dell’uomo viene spesso del tutto ignorato. È, inoltre, lui, ritenuto spesso il pater familias forte e tutto d’un pezzo, a dover sostenere e consolare la donna nella sua sofferenza. Eppure anche l’uomo, che già iniziava a rappresentarsi padre e fantasticava sulla vita futura in tre, può stare male, sentirsi smarrito e perso di fronte ad un evento non controllabile né tanto meno evitabile come un aborto spontaneo (Martin et al., 2004; Puddifoot & Jhonson, 1999; Daly et al., 1996). Entrambi i membri della coppia hanno quindi il diritto di stare male in seguito ad una perdita del genere e, nel caso in cui la sofferenza fosse troppa, non fosse gestibile o durasse per troppo tempo, a chiedere aiuto e sostegno. Dolori non condivisi e metabolizzati, altrimenti, possono anche portare a difficoltà all’interno della coppia stessa, a fratture e distanze insormontabili, come a voler cercare un colpevole in un accaduto la cui responsabilità non è imputabile a nessuno o come a volere dall’altro una comprensione magica e totale in momenti in cui forse non c’è proprio nulla di chiaro. La comunicazione, in questo caso, può fare la differenza, per permettere alla coppia di superare questo evento insieme: comunicare l’un l’altro il proprio dolore, piangere insieme il bambino mai nato, i sogni e le speranze infrante per non sentirsi più così soli.

A volte, nel tentativo di non dover affrontare ciò che un aborto comporta, la coppia può provare a buttarsi in modo repentino nella ricerca di una nuova gravidanza, ma, per quanto, come già accennato poc’anzi, non sembrino esserci controindicazioni a livello fisico, a livello cognitivo ed emotivo potrebbero esserci implicazioni significative, proprio a causa della mancata elaborazione della perdita appena subita. Ad esempio, uno dei rischi potrebbe essere quello di non dare il giusto spazio al bambino in arrivo, non accogliendolo nella sua unicità, ma sostituendolo con quello morto, che viene idealizzato, e attribuendogli tutta una serie di aspettative di perfezione che non consentono di vivere e considerare il bambino per la persona che veramente è. Il bambino nato, così, non sarebbe mai all’altezza del fantasma di quello mai nato e crescerebbe in un clima di svalutazione costante.

Ogni bambino merita di essere ricordato, anche chi non è mai nato. È possibile che i genitori, quando aspettano un nuovo bambino dopo un aborto, si sentano in colpa, come si stessero dimenticando di chi hanno perso. Il dover rimanere in equilibrio tra sentimenti di lutto e perdita da un lato ed emozioni di speranza e gioia dall’altro, può essere complesso e confondere ulteriormente. In questi casi può essere utile trovare un modo per rimanere connessi al bambino che è stato perso, ad esempio scrivendogli, parlandogli o trovando un luogo in cui volerlo ricordare.

Un aborto spontaneo è una perdita e come tale va elaborato.

Ogni esperienza di perdita porta con sé una serie di reazioni ed emozioni estremamente soggettiva. Ognuno ha il proprio modo di soffrire ed è importante che possa trovare il giusto sostegno per poter far fronte ad un tale dolore, per potergli dare un nome e un senso, per non smarrirsi in esso.

È un dolore che va attraversato con qualcuno che tiene per mano, che accoglie e comprende, che legittima e aiuta a sostenere la sofferenza, permettendo di guardarci dentro, qualsiasi sia la forma assunta, finché non trova anch’essa il proprio posto all’interno della propria e personale storia di vita.

Bibliografia:

American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders, Fifth edition (DSM 5). Arlington, VA: American Psychiatric Association

Freedle, A., & Kashubeck-West, S. (2021). Core belief challenge, rumination, and posttraumatic growth in women following pregnancy loss. Psychological Trauma: Theory, Research, Practice, and Policy, 13(2), 157–164. https://doi.org/10.1037/tra0000952 

Gemma Callander, Gary P. Brown, Philip Tata & Lesley Regan (2007) Counterfactual thinking and psychological distress following recurrent miscarriage, Journal of Reproductive and Infant Psychology, 25:1, 51-65, DOI: 10.1080/02646830601117241 

Kersting, Anette & Wagner, Birgit. (2012). Complicated grief after perinatal loss. Dialogues in clinical neuroscience. 14. 187-94.

Martin P. Johnson & Sarah R. Baker (2004) Implications of coping repertoire as predictors of men’s stress, anxiety and depression following pregnancy, childbirth and miscarriage: a longitudinal study, Journal of Psychosomatic Obstetrics & Gynecology, 25:2, 87-98, DOI: 10.1080/01674820412331282240 

Nelson, S.K., Robbins, M.L., Andrews, S.E. et al. Disrupted Transition to Parenthood: Gender Moderates the Association Between Miscarriage and Uncertainty About Conception. Sex Roles 76, 380–392 (2017). https://doi.org/10.1007/s11199-015-0564-z

Immagine di katemangostar su Freepik

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